Ieri leggevo un post scoperto tramite di Lettere da Berlino che stimo e adoro per il suo essere così sicula.
Lei mi ricorda dei cari amici con cui sono cresciuta, che mi mancano un sacco. Mi ricorda vacanze da universitari squattrinati, dove il massimo che potevi permetterti era trascorrerle a casa dei tuoi amici fuori sede come te a Milano, ma che in estate vivevano in posti meravigliosi.
Nel post l’autrice fornisce quella che secondo lei è la vera definizione di expat. L’autrice confessa che non le piace proprio questo termine. Lei si sente un’ emigrata qualificata, ma non può definirsi expat perché questo termine starebbe a definire chi viene trasferito da un’azienda a lavorare all’estero e ha tutta una serie di benefit, legati a questo cambiamento.
La stessa autrice infine ammette che forse il significato di questa parola sta cambiando.
Mia cognata, che da anni vive a Los Angeles, con tanto di passaporto americano, non ama il termine expat. Dice che lei non si è mai sentita un’expat. Per la verità neanche emigrante, ma expat proprio no, le da l’idea di qualcuno che non si integra, che rimane estraneo. Invece, lei in America ha la sua vita, il suo bel lavoro, la sua casa, i suoi amici.
Io da zuzzerellona quale sono tutte queste “pippe mentali” non me le sono mai fatta prima di partire.
Non mi sono mai preoccupata di definirmi, non ho mai pensato di sedermi e pensare di cercare un termine che potesse definire la mia situazione, ma nemmeno mi sono preoccupata di definire gli altri, un po’ come quando sono arrivata a Milano dove scoprii con mia grande sorpresa di essere pugliese prima ancora di essere italiana.
Confesso che mi fa sorridere questa esigenza di voler a tutti i costi trovare un termine capace di racchiudere, riassumere e descrivere un insieme così variegato di situazioni, motivazioni e realtà molto diverse tra loro.
A Kuwait per tutti io sono expat semplicemente perché non sono kuwatiana. Perché per vivere qui ho bisogno di un visto e di uno sponsor. Non esiste un equivalente inglese di emigrante.
In questo paese non potrò mai integrarmi in quanto esistono infinite limitazioni, come ad esempio la non possibilità di acquistare una propria casa, mia figlia non può frequentare una scuola pubblica perché non parla arabo. In molte aziende locali per gli espatriati è previsto un trattamento decisamente diverso rispetto ai locali, scritto nero su bianco, ad esempio gli espatriati non hanno diritto ad aumenti, promozioni e quindi ad una carriera. E’ una scoperta recente, tutto ciò da l’idea del luogo in cui sto vivendo.
Io e mio marito non potremmo definirci expat secondo la definizione indicata dall’autrice del post sopra linkato, in quanto mio marito è stato assunto da un’azienda kuwaitiana e non da una italiana. Però il suo contratto è definito come contratto expat, per questo molto diverso da quello dei suoi colleghi locali che hanno uno stipendio più alto, possibilità di carriera e varie protezioni.
In realtà nemmeno Drusilla e la sua famiglia possono definirsi tali secondo la descrizione dell’autrice. Eppure suo marito lavora per società italiane che lo mandano a lavorare all’estero. La destinazione di lavoro naturalmente non viene scelta da suo marito bensì direttamente imposta dall’azienda in base alle necessità e ai progetti attivi nei vari paesi del mondo. In entrambe le società in cui ha lavorato tra i benefit non era previsto il rimborso per la scuola obbligatoriamente privata (in Kuwait non esiste la scuola pubblica se non per i bambini arabi in quanto si parla solo in arabo) e, nella società passata, nemmeno l’assicurazione sanitaria ma solo un semplice rimborso di parte delle spese mediche sostenute. Quindi se stavano male andavano nell’ospedale che preferivano pagando subito e con il tempo avrebbero ricevuto parzialmente dei rimborsi. Stessa cosa per le tasse pagate di cui parla l’autrice del post. Loro pagavano il loro e stop nessun aiuto. Avevano la casa pagata nei limiti del budget offerto dall’azienda (nemmeno molto elevato visto i costi degli affitti in Kuwait) e solo una parte dell’arredamento. Sicuramente il salario è migliore rispetto a chi rimane a vivere in Italia, ma va detto che anche le condizioni lavorative sono molto diverse, in quanto il suo contratto di lavoro prevede 11 ore giornaliere contro le 8 italiane, straordinari inclusi nello stipendio definito, 6 giorni di lavoro su 7 contro i tipici 5 italiani, festività locali e non italiane, quindi niente Natale, Pasqua. Inoltre si tratta di contratti non a tempo indeterminato, perché con i tempi che corrono ormai non li fa più nessuno, ma di contratti legati ai vari progetti che gli vengono affidati nel mondo. Purtroppo il suo lavoro prevede paesi per la maggior parte “difficili” e spesso brutti in cui spesso l’azienda fa fatica a trovare personale.
Vi starete chiedendo: “ma allora dove sta la figaggine di espatriare???” Non c’è, non nel comune senso di ciò che è considerato figo. Esiste un’altra figaggine ma non si vede. O meglio va ricercato nel profondo senso dell’essere espatriati. E’ uno stile di vita imposto se si vuole lavorare e potersi permettere cose che in Italia sarebbe impossibile fare, come ad esempio fare la mamma accaventiquattro, insegnare ai figli a parlare più lingue, conoscere e rapportarsi con diverse culture e crescere figli con una mente aperta, non bigotta e fargli vivere una vita in cui i loro confini sono mondiali e non legati all’Italia.
Ma la verità è che essere expat è davvero dura, soprattutto da queste parti.
Noi ci ridiamo su, ci scherziamo e ho smesso di spiegarlo a tutti quelli che ci ritengono solo super fortunati.
Noi viviamo senza paracadute, senza certezze alcune. Siamo stati così pazzi e coraggiosi da voler salire su questo treno, mettendo in gioco tanto, anzi tantissimo. Ma domani possono dirci “ciao torna a casa tua, questo posto non ti vuole più”. E noi dovremmo farlo e pure in fretta senza alcuna possibilità di controbattere.
Viviamo sapendo che ogni giorno devi lavorare sul tuo equilibrio, sulla tua felicità, ogni giorno come una formica metti via perchè non sai cosa ti riserva il futuro. Sì siamo delle cicale che vivono al massimo la loro giornata, ma come delle formiche un po’ pessimiste accumuliamo e non solo cose materiali, rendiamo importanti episodi piccoli, per farceli bastare in quei giorni in cui non accade nemmeno quella piccola cosa bella.
Spesso vivi le tue giornate, le tue difficoltà senza dirtelo, senza confessarlo nemmeno al tuo amato quanto è stato dura oggi trovare quell’equilibrio, non gli dici quanto quel bicchiere mezzo vuoto l’hai guardato così tanto finchè non è diventato pieno per davvero. Oggi salutavo una mamma inglese fuori della scuola, parlavamo delle vacanze, tanti non rientrano perchè la loro casa è troppo lontano, altri sì e sai cosa ti dici? “Che bello finalmente potrò fare una passeggiata, una camminata immerso nella natura. Andrò al cinema e se avrò voglia di un drink non ci saranno problemi”. Cose di una banalità unica, ma che diventano un sogno. Una mia amica arrivata dall’Inghilterra mi ha detto certo che espatriare in Europa e qui è un po’ diverso. Eppure io non mi sono mai sognata di sminuire le difficoltà incontrate da tutti coloro che espatriano in Europa o in paesi che esternamente possono sembrare più semplici, perché ogni paese che non è il nostro rimane un paese sconosciuto, con delle tradizioni e una cultura molto diversa da quella a cui siamo abituati e in cui siamo cresciuti, con delle abitudini che piano piano dovremmo capire e iniziare ad assumere.
Volete sapere quale credo che sia la vera definizione di expat?
Credo che l’expat sia una persona che lavora, respira, mangia, dorme, fatica, si diverte, cammina, corre, beve, ascolta musica, insomma vive come voi. Solo che lo fa da un’altra parte del mondo.
La sorpresa più grande è che l’expat è un essere umano tanto quanto tutti gli altri.
Costretto ad affrontare alti e bassi, che però ha avuto il coraggio di buttare il paracadute e di spiccare comunque il volo fidandosi delle proprie ali.
Certo siamo fortunati. Fortunatissimi. Perchè la vita che facciamo la scegliamo ogni giorno. Perché l’adrenalina ci consuma, perché si ricomincia sempre, perché abbiamo imparato che se qualcosa non ci piace la cambiamo, che di tante cose possiamo fare a meno. Perché molti di noi guadagnano più di tanti rimasti in patria, ma neanche poi così tanto, e mettono via tutto, perché la pensione non ce l’avranno mai. Perché non ci manca il coraggio di prendere le nostre decisioni e gestire la nostra vita.
Forse la cosa che ci differenzia dall’emigrante è una. Noi non facciamo scelte di gruppo perché espatriare è una scelta individuale. E spesso parti avendocelo un lavoro o buone possibilità di averlo. E quel futuro, che resta incerto te lo immagini e costruisci giorno dopo giorno.
Recentemente ho letto il post di Moky’s e alla fine, tra i vari commenti, ho letto che in quanto expat non avremmo nemmeno il diritto di pronunciarci su quello che accade in Italia, perché non vivendole più in prima persona perdiamo questo diritto.
Affermazioni aberranti.
Quindi il povero expat non può pronunciarsi in Italia perché non ci vive più, magari dice pure cose giuste e ovvie ai più, ma stai zitto va tu, non può pronunciarsi nel paese dove ha trovato lavoro perché magari vive sotto dittatura e lì di diritti ben pochi, non può definirsi expat, anche se ogni giorno, dove vive, tutti lo chiamano così, senno se la tira. Per non parlare di chi come me ha “solo” seguito il marito all’estero, non lavora, io non posso neanche definirmi in nulla, men che meno expat né emigrante…io resto solo una mantenuta, moglie annoiata che vive all’estero grazie al ricco stipendio dell’expat marito. Che passa il tempo giocando sul blog, come è stato scritto in un commento sempre su questo post che vi ho indicato. Dimenticando che non solo io, e altre come me, in certi posti non possono lavorare, ma senza il nostro supporto il marito non avrebbe potuto fare certe scelte. Che restiamo delle mamme e se un editore ha creduto in noi è stato proprio per aver riportato la famiglia al centro di tutto. Gli è sembrato un concetto rivoluzionario.
Insomma, che fatica….sembra essere diventato una colpa ultimamente vivere fuori dai confini italiani.
Io sono giunta a una conclusione, chiamatemi come volete, emigrante, expat, mantenuta, fortunata, fuori sede.
A me ormai va bene tutto. Trovo pleonastico e assolutamente limitante dover fare delle categorie.
E per fortuna che tutti vivendo all’estero dovremmo essere più open mind.
Invece mi pare si passi il tempo a misurare tutto, a definire recinti, a dire ma io..dai faccio di più, tu hai più fortuna.
Io continuo a sentirmi quella studentessa fuori sede che dal paesello pugliese andò nella grande Milano, alla ricerca di opportunità migliori. I sentimenti non sono cambiati, solo che questa volta non penso solo a me e sono andata più lontano.
Tutto qua.
Mamma avvocato says
Ti dico una cosa: le prime volte che ho letto il vostro blog, ho pensato che foste delle pazze incoscienti a far vivere i vostri figli in un luogo in cui i diritti umani sono costantemente violati. Ho pensato che mai e poi mai verrò a visitare quei luoghi o lavorerei per il Kwait, perché sarebbe dare ricchezza a chi non rispetta gli altri popoli.
Poi ci ho riflettuto e ho pensato che la mia era pura ipocrisia, visto che in realtà anche io sfruttavo tanti e troppi paesi e persone, con il mio stile di vita, nonostante provi a fare scelte ragionate. E vi ho capito.
Ho pensato che fosse facile aver tempo per pranzi e feste, tra un club e l’altro, non dovendo lavorare. Poi ho ricordato quel mese scarso in un cui ho fatto la mamma h24 e ho ringraziato di POTER lavorare. E ho capito quale fatica sia la vostra.
Ho letto, riletto, divorato il vostro libro è compreso che anche voi, come tutti, vi aggrappate alle cose belle, non perché non ci siano le brutte, ma perché bisogna, per noi stessi, i nostri figli e gli altri, essere positivi e investire nel futuro. Non stare sempre a lamentarsi. E la mia ammirazione per voi e’ cresciuta a dismisura.
Questo post di sfogo, così sincero, mi conferma che persone eccezionali siete.
Super fortunate? Questo mai, non l’ho mai pensato. Nessuna persona con un minimo di conoscenza del mondo del lavoro e dei paesi arabi può pensarlo!!!
Quindi ora dimentica le cattiverie e l’invidia di chi non ha la forza e forse neanche le competenze per fare e costruire nulla, ne’ all’estero ne’ nel suo paese, e preferisce attaccare gli altri. Dimentica e sii felice come puoi, più che puoi, fregandotene di definizioni &company.
Per quel che vale, io sono con voi!!!
mimma says
Grazie mille cara. Ultimamente leggo tanti post su questo argomento, mi dispiace non essere riuscita a Linkare quello di Mokys’ . E’ stato davvero più forte di me fare queste riflessioni. E non solo perchè siamo state addirittura chiamate in causa, proprio perchè odio chi passa il tempo a definire gli altri, a voler mettere dei recinti. Mi pare tra l’altro una guerra tra poveri. Ti ringrazio per l’affetto e la stima che come ben sai è ricambiata. un abbraccio
trentazero says
Tanti leoni da tastiera.
Temo che sara’ sempre piu’ facile sminuire l’altro sia nei successi che nei comportamenti piuttosto che guardare al proprio orto.
Siete grandi! 🙂
mimma says
Guarda ancora non mi sono abituata a queste persone che hanno tutte qs certezze !! Per fortuna ci sono i tuoi post che mi fanno sognare
Moky says
Questa mania di voler a tutti i costi categorizzare tutto è davvero fastidiosa. A cosa serve?
Trovo invece normale che una persona che cambia città, regione, stato, faccia dei paragoni. Quando ti sei trasferita a Milano non facevi paragoni con la tua amatissima Puglia? Credo di si, ma non per questo un posto è meglio di un altro, ci saranno cose che funzionano meglio, altre un po’ meno.
Credo che chi attacca le moglie expat sia un po’ invidioso per l’opportunità che ha.
Personalmente se noi ne avessimo l’opportunità partiremmo subito, pur sapendo delle grandi difficoltà che a volte divengono opportunità
mimma says
Brava ragazza hai colto il motivo del mio disappunto !! Oggi avevo voglia di sfogarmi .
Roberta says
Ciao. Ti leggo da poco ma mi ritrovo in tutto quello che scrivi.
Anche io sono continuamente bersagliata da amici e parenti rispetto alla nostra scelta di vivere All estero. Una persona mi ha persino detto che sono in vacanza.
Se per lei portare i bambini due volte al giorno a scuola e andarli a riprendere perché a scuola non c’è mensa, andare a fare la spesa, lavare frutta e verdura con amuchina per arginare batteri vari, organizzare lo sport e le attività ricreative dei bambini, e in tutto ciò essere fermati continuamente dalla polizia per avere soldi (perché qui c’è la povertà vera)… Beh! Se per questa persona questo significa essere in vacanza… Allora siamo tutti in vacanza. Anche quelli che restano in Italia.
La vita da Expat e difficile. Ci vuole tanta capacità di adattarsi a contesti e situazioni sempre diversi. E il mondo diventa la tua famiglia. Tuo marito e i tuoi figli. Tutto il resta passa.
mimma says
Brava Roberta .. Sembra incredibile prima di partire non ci pensi mai, ma le difficoltà maggiori e la pazienza saranno messe a dura prova proprio da qs confronti . Dal dover spiegare cose che non è giusto . Il più delle volte non presto il fianco altre la voglia di dire la mia è forte! Benvenuta
Graziella says
Questo post è tra i tuoi migliori, anche se alla fine si legge tanta amarezza, e questa cosa mi sorprende. Ti sembrerà molto strano che mi sorprenda la tua amarezza, visto quello che scrivi, eppure è così. Io mi chiedo: ma cosa t’importa se non tutti condividono la tua scelta? cosa t’importa se qualcuno o molti si sentono in diritto-dovere, di giudicarti? cosa t’importa se la tua scelta suscita perplessità o invidia o addirittura disprezzo … ?? cosa te ne importa? Col blog siete diventate figure pubbliche e va da se che questo attira l’ammirazione ma sopratutto le critiche, è nel gioco, avete pure scritto un libro … peggio che mai, l’invidia sarà alle stelle per molti. Essere una persona espatriata non rende migliori o peggiori, si è se stessi in un altro mondo, con tante difficoltà in più e anche tante opportunità in più. Non piaci a tutti? e che te ne importa? Tu sei quello che sei, così come lo sono tutte le altre e tutti gli altri, emigrati, espatriati, residenti, vattelapesca vari. Tu hai un progetto di vita, come tutti gli altri, che ne siano consapevoli o no. Vivi la tua vita, condividila con noi, aspettati complimenti e critiche, è il gioco dei social, è quel famoso “villaggio globale” di cui per primo ha parato McLuhan. E in un paesello si sa, chi più è in vista, più viene criticato. Sai l’unica cosa da fare è fregarsene, non piacerai mai a tutti, ma l’importante è piacere a chi amiamo. Punto.
mimma says
E che da ragazzina mi piaceva Tanto don Chisciotte … Mi sa che sono rimasta uguale a lui …combattere contro i mulino a vento ! Thanks ragazza
Mariangela says
Amica mia, che si sia emigranti di lusso o emigranti e basta, il prezzo da pagare, salato e uguale per tutti, è la lontananza dalla famiglia e dagli affetti. In ogni caso, per chi resta, è sempre più facile pensare che uno che magari espatria a New York automaticamente faccia una vita fichissima, non considerando nemmeno un po’ che probabilmente la vita a New York sia parecchio dura e magari di tempo per goderne le bellezze ce ne sia davvero poco….
mimma says
Il succo è sempre quello parlare di cose che non si conoscono . Ma in generale mi ha infastidito qs desiderio di inglobare in un solo termine realtà così diverse . Ma poi a che pro voler fare delle distinzioni così nette tra expat e migranti ? Che cosa significa ? Mha!
Annalisa says
Che bel post! Io commento poco ma vi seguo sempre e vi ammiro molto. Non avvilirti. C`è un sacco di gente acida in giro….
mimma says
Grazie Annalisa ! Qualcuno mi ha detto che me la sono presa tanto ., io avevo solo voglia di sfogarmi … Ti abbraccio
Allie says
Ciao Mimma!
Leggo spesso il vostro blog, anche se non commento mai. E vi ringrazio perché è davvero interessante conoscere tanti particolari di paesi tanto lontani – forse non fisicamente, ma di sicuro culturalmente – come quelli dell’area ‘calda’ mediorientale.
Sono un’expat to be – se vogliamo attenerci alla definizione data dal blog che hai citato, ‘un’emigrante to be’ – verso il ‘Nuovo Mondo’. E trovo sì un po’ machiavelliche ‘ste definizioni. Insomma, partirò tra una manciata di mesi, le mie preoccupazioni si concentrano sulle questioni pratiche casa-lavoro-quotidianità. Partirò da sola, il che ha sia dei pro che dei contro rispetto al partire con la propria famiglia. Di certo, non mi preoccupo proprio di definire il mio futuro status virtuale, ché quello reale è poi definito dal beneamato visto.
Quel che mi sconfinfera di più è (e ti cito) “sembra essere diventato una colpa ultimamente vivere fuori dai confini italiani” – stessa questione che avevo commentato sul blog di Moky senza mezze misure. Ecco. Io continuo a dire che sia invidia. Non me la spiego in altro modo questa ostilità di fondo. Peraltro, atteggiamento che trovo tipicamente italiano e tipicamente provinciale, della serie “lei ha più di me, io sono invidiosa e, siccome mi sento scema a lamentarmi, faccio inutili blablabla girando intorno alla questione perché non posso ottenere quel che ha lei”. Utilità di tutto questo? Sfogare le proprie frustrazioni come si farebbe dal parrucchiere al sabato. E ti dirò di più. Io, che ancora sono italiana in Italia, mi sento fare discorsoni imperniati sul senso di colpa che neanche nel ventennio. Dalla vigliaccheria – a quanto pare – insita in me e nella mia scelta, all’egoismo senza precedenti. Chiaramente tutte ‘mazzate’ che arrivano da persone che, come dicono a Roma, ma anche sticazzi. Quando, poi, scoprono che il mio sarà un viaggio one-way e non ‘un’esperienza’ ecco il carico da undici. Diciamo che sono zen e tengo gli occhi sull’obiettivo, che è poi il mio sogno da una vita. E, appunto, guardo alla mia prossima vita.
Insomma, tutta questa pappardella per dire: “Non ti curar di lor, ma guarda e passa”. Che il buon Dante sì che ne sapeva a pacchi.
Giuro che la prossima volta scrivo un post sul mio blog, anziché spammare il tuo con commenti infiniti!
😉
mimma says
Adoro i commenti lunghi e così personali. Si l’ho già detto anziché concentrarti sulla tua nuova vita spesso consumi energie a spiegare o difenderti …. Leggerò con piacere il tuo blog !
Claudia says
Lasciamo parlare chi vuole criticare, chi vuole etichettare, chi vuole diminuire. Noi che viviamo all’estero siamo expat, emigrate, immigrate, mogli e fidanzate al seguito, mantenute, donne in carriera e chi più ne ha più ne metta. Ma siamo soprattutto noi stesse. Le stesse che saremmo state in Italia. Ma chiamiamo casa un altro pezzo di mondo.
mimma says
Si siamo noi , anche se qs esperienza chiaramente ci cambia ma saremmo un po’ cambiate comunque. Ma Davvero tutto qs desiderio di definire Ed etichettare non mi piace
Mamma Far and Away says
Ciao Mimma,
ho letto come te tanti post sugli expat e spesso anche commenti cattivi, dettati forse da un’idea sbagliata che si ha di chi vive all’estero.
Io non mi sento tanto diversa da tante altre mamme che fanno la vita da mamma in Italia, facciamo le stesse cose, viviamo gli stessi piccoli grandi problemi educativi con i nostri figli ma lo facciamo in una nazione dove si parla un’altra lingua e c’e’ un’altra cultura, ma la nostra essenza di mamma e donna non cambia.
Il vivere all’estero ci sta permettendo di avere una vita dignitosa, mi ha permesso di avere tre figli uno dietro l’altro e mi ha dato il privilegio di fare la mamma a tempo pieno, non senza sacrifici ovviamente!
Insomma nemmeno io ci vedo tutto questo bisogno di definirci, infilarci in una categoria. Io mi sono definita solo Far and Away per il semplice fatto che sono lontana dalla famiglia d’origine e dal paese in cui sono cresciuta, ma non mi sento diversa da tante altre mamme di tre bambini.
Mi e’ capitato di sentirmi dire da amici cari “e’ stato facile per voi partire piuttosto che stare qui a lottare”. Cosa ho risposto? La vita non e’ facile, vivere all’estero non e’ facile, la vita e’ una ed io sto lottando per la mia vita, per i miei figli, per un futuro migliore per loro e per me. Lo faccio all’estero perche’ non e’ scritto da nessuna parte che debba farlo in Italia e mi piace vivere fuori dai confini italiani che mi stavano tanto stretti. Il mondo e’ bello perche’ e’ vario, vivi e lascia vivere! un abbraccio.
Fabiana
mimma says
Fabiana grazie per la tua bellissima testimonianza ….come sai anche noi ci ritroviamo in questo sensazione! Però che fatica e che pazienza a volte dover spiegare qs cose. Un abbraccio e passate il vostro primo natale londinese…..
Luciano says
Lo posso dire? Dai, non mi trattengo!
“Ma vaffanculo”. Ecco, l’ho detto. Tra l’altro, se non ci pensa l’unico uomo che interviene in questo post, in mezzo a tante signore bene educate, le parolacce chi le scrive?
E’ quello che mi è venuto da pensare leggendo uno dei commenti al post che hai linkato, precisamente quello a cui hai risposto.
Il post in sé non mi dispiace. Anche se con molta rigorosità non necessaria sull’uso del termine, fa capire bene che non tutti gli espatri sono uguali, che c’è chi si sposta per conto dell’azienda, con la strada più “spianata” (non me ne voglia chi si trova in questa situazione, non voglio nemmeno sminuire le difficoltà di chi ci si ritrova), cioè un lavoro già sicuro, le difficoltà burocratiche svolte dall’azienda, uno stipendio molto altro con benefit corrispondenti ecc.
E c’è chi invece fa da solo tutto questo, e spesso è molto più difficile.
Non trovo così sbagliato differenziare con due parole diverse queste situazioni, anche se sono forse il bianco e il nero e in mezzo ci sono tutti i grigi.
Quello che mi ha fatto incazzare è stato quel commento. Una serie di coltellate inferte gratuitamente da qualcuno che non conosce né voi né il libro.
Non ho voglia di replicare lì a quel commento, non mi interessa mettermi a litigare con una persona che non conosco e che non mi viene nessuna voglia di conoscere. Quel che mi interessa è farti sapere che da qualche parte ci sono anche gli uomini che vi capiscono, oltre, ovviamente, ai vostri mariti.
Se non sto invadendo troppo il tuo spazio vorrei “fare a pezzi” quel commento:
“…la presentazione di un libro fatta da un editore che voleva presentare il prodotto editoriale su un piatto d’argento”
come deve presentare un editore il prodotto che vende? Dicendo che è una schifezza?
“Le coautrici si definivano expat, scopri scopri erano semplicemente mogli privilegiate di mariti dai contratti d’oro”
non so se mi manca qualche post, ma non mi è sembrato di aver visto da qualche parte pubblicati i contratti e gli stipendi dei vostri mariti. Sul libro, per ora, non ho visti. Dove sono? L’unico contratto che ho letto pubblicato da voi è quello della moglie expat che, scritto con ironia, fa capire molte cose.
Fare i conti in tasca agli altri è sempre un bruttissimo vizio, e forse non ne sono esente neanche io. Ma si possono prendere anche delle grosse cantonate.
” non costrette a trovarsi un lavoro le giovani e brillanti signore si danno alla cura di un blog per ammazzare il tempo.”
adesso mettiamoci tutti a giudicare ogni situazione personale. Giudichiamo chi vive nella propria città e ha tutti gli aiuti che fanno comodo quando si tratta di affidare i propri figli a qualcuno, per esempio. Fare i genitori quando si è da soli, sempre e solo in due, lui lavora o è lontano e lei fa la mamma a tempo pieno, senza avere mai una giornata di riposo, anche quando mamma e figlia sono ammalate insieme (a proposito, non ti ho nemmeno chiesto come ti senti, se ti sei ripresa). E quanto aiuterebbe qualche volta, ma solo almeno qualche volta, almeno nelle difficoltà più grosse, avere un’ora o due una persona cara, di famiglia, che si prenda cura dei nostri figli. Non per questo chi ha questo aiuto deve essere preso a pesci in faccia. Cioè, ogni situazione è diversa. E magari potersi cercare un lavoro aiuterebbe anche, ma non si può, non in queste situazioni.
Aggiungiamoci una cosa: chi fa lo scrittore di professione è un lavoratore, chi scrive un libro per una volta è un fancazzista?
“… le brillanti quarantenni…” ahia, mo’ questa si prende le mazzate almeno da una delle due per averle aumentato l’età. Che si trova pure scritta in copertina. Questa è la cosa più grave di tutte…
“Assolutamente avvilente la maniera in cui veniva presentato un prodotto delle donne.. da un uomo!”
Io non c’ero alla presentazione, ma se ho capito ciò che vuol dire con questa frase, il fatto che un uomo presenti il lavoro di due donne dovrebbe essere di per sé avvilente? E perché???
Mi sa che c’entra poco il fatto di essere uomini o donne. Nella fattispecie, mi sembra di capire che l’uomo fosse lì in qualità di editore e le donne in veste di autrici. Se i ruoli fossero stati invertiti la cosa avrebbe dovuto essere, al contrario, gratificante per qualche motivo?
Per quanto ho letto finora del blog e del libro non ho mai trovato una parola contro nessuno, non ho mai visto l’atteggiamento dell’Albertone che saluta i “lavoratooooriii” col gesto dell’ombrello. Nulla del genere. Quello che ho visto invece è che quattro parole buttate a casaccio da qualcuno che non aveva di meglio da fare hanno veramente fatto male, ti hanno portata dal mostrare il bicchiere sempre mezzo pieno che hai voluto vedere con ottimismo finora, al mostrare anche quello mezzo vuoto che non hai voluto evidenziare, perché non è tutto rose e fiori, ma neanche un po’.
Ho intenzione di dare un seguito a questo sulle mie pagine, nei prossimi giorni (quando lo scriverò capirai perché), se vuoi, resta sintonizzata.
mimma says
Luciano adoro i commenti così articolati. Onestamente il post mi è sembrato una forzatura, sarà che io mi rifaccio al concetto latino da cui la parola deriva ex patria, ebbene si non è di origine inglese qs termine. Ma a parte questo non ho apprezzato perchè poi nel commento ha chiaramente fatto capire la necessità del suo definire…le pareva un atto di snobismo da parte di chi si chiama expat. L’altro commento davvero imbarazzante…comunque si resto sintonizzata! come sempre. Un abbraccio
wif says
Ciao ragazze, condivido pienamente, Io pure sto fuori da anni, ma in Nordeuropa e sono sempre cattiverie sul mio conto. Figurati, la privilegiata che vive nel Welfare svedese. ecc. MA DE CHE.
Magari! Anche qui le cose cambiano, gli equilibri del mondo stanno incrinandosi e uno si ritrova fuori casa, lontano dalla famiglia. BRRR, a volte mi dico che sono stata un’inconsciente…
Comunque, ci vuole anche tanto coraggio a partire e a vivere senza paracadute e che le soddisfazioni si pagano salate. Andate sempre avanti così, brave,e non preoccupatevi di chi vi critica!
mimma says
Grazie mille ! si capire una vita che non fai dura, ma giudicarla troppo facile!
grazie per il commento e l’incoraggiamento.
un abbraccio
Mimma