Il mio solito libraio di fiducia a Porto San Giorgio anche questa volta non ha sbagliato con i suoi consigli .
L’ultima volta che siamo stati bambini di Fabio Bartolomei è un piccolo gioiello che non lascia indifferenti.
L’ho finito all’una di notte e confesso che ho fatto fatica ad addormentarmi.
E’ stato duro metabolizzare tutto quello che questo libro racconta.
La Seconda Guerra Mondiale è in stato avanzato, la resa è vicina ma l’Italia è ancora martoriata dalla violenta presenza degli ingombranti ex-alleati tedeschi e il popolo sopravvive spaventato e affamato.
Sono i tempi in cui chiunque può essere un infame.
A Roma, quattro piccoli moschettieri si divertono ancora a giocare insieme, nonostante le macerie, il coprifuoco, la miseria e la fame.
Cosimo vive con il fratellino e con il burbero e severo nonno. La mamma s’è ammalata ed è morta, il papà è stato portato via tre anni prima e da allora non sono più arrivate sue notizie.
Vanda, bambinona corpulenta dal cuore grande come la sua fantasia, è stata abbandonata ancora in fasce all’orfanotrofio e accolta da Suor Agnese con un affetto ben più grande di quello riservato alle altre bambine.
Italo, figlio di un fascista, è un piccolo e fiero balilla che vive all’ombra dell’eroico fratello Vittorio, ferito in battaglia e acclamato dall’esercito, dal partito e dalla famiglia.
Poi c’è Riccardo, coraggioso, buono, generoso; è il collante del gruppo, quello che riesce sempre a far sorridere tutti, l’amico che arriva nel momento del bisogno, la solida spalla su cui contare.
Riccardo è anche ebreo e, in un giorno d’ottobre, sparisce improvvisamente, portato via dai soldati tedeschi, senza alcuna spiegazione.
Italo scuote la testa con espressione severa.
«Non doveva mischiarsi con quella gente».
«Quale gente?» chiede Vanda. «Viveva con i genitori».
«È uguale! Non è il momento giusto per essere ebrei né per vivere al ghetto! Lo vedete cosa succede poi?»
«Ma perché hanno rubato pure lui? Cosa ha fatto?».
Cosimo scuote la testa, non ne ha davvero idea.
«Gli ebrei sono nemici del fascismo e dei tedeschi. Per questo li rubano» dice Italo.
«Ma lui non ha fatto niente di male. Non è un nemico cattivo».
«Lui no, certo, ma mettiti nei panni dei tedeschi. Che fai, separi un figlio dei genitori?»
I tre moschettieri rimasti, ancora scossi dalla fulminea sparizione del loro amico, decidono di partire per andare a cercarlo, lasciandosi alle spalle gli adulti, che non stanno mai a sentirli, che sono induriti dalla guerra e dalla vita, che non li aiutano a comprendere cosa stia accadendo attorno a loro.
Cosa farebbe lui, complice e collante per eccellenza, a ruoli inversi? Dove lo hanno portato i tedeschi, rastrellando il suo quartiere a tappeto? Gli indizi sono pochi: un treno strapieno diretto chissà in quale direzione; il disegno di un cupo casermone che riconosceremo subito come Auschwitz.
I protagonisti non immaginano che il campo di lavoro sia lontanissimo da Roma, né che Riccardo e gli altri deportati non faranno mai ritorno.
L’ultima volta che siamo stati bambini mostra la shoah vista con gli occhi ingenui e generosi di tre ragazzini coraggiosi, indomiti, che non comprendono le ragioni complesse della politica e della storia che sta devastando l’intera Europa; loro si affidano alle loro piccole certezze, seguire i binari del treno, accamparsi di notte sotto una tenda di fortuna, dormire all’aperto, digiunare, incontrare sul loro percorso poveri contadini affamati, una pastorella che permette loro di mungere una pecora macilenta, due cadaveri abbandonati e insepolti e infine i soldati tedeschi, che certamente non sono i camerati che Italo immagina.
La suora Agnese e il fratello Vittorio si mettono all’inseguimento dei tre fuggitivi, ne scoprono le tracce, ma sembrano non riuscire a raggiungerli. Tra i due nasce un’empatia, intenti come sono ad un salvataggio difficile, in mezzo ad un’Italia dove gli stessi adulti hanno perso il significato delle cose: chi è amico? Chi nemico?
I dialoghi tra i bambini sono surreali, come fu surreale tutta la vicenda storica di una guerra difficile da capire, durissima da combattere, problematico porsi dalla parte giusta. Il finale non è allegro e come poteva esserlo? Ma questa fiaba per adulti ci dice molto sull’assurdità di una storia nella quale furono coinvolti troppi innocenti, troppi ingenui, troppi inconsapevoli, troppi bambini spazzati via da un tritacarne senza vere ragioni. Ciò che resta è la memoria di quei giorni folli, pieni di sogni e di speranze, che solo molti anni dopo ritrovano un senso.
L’ultima volta che siamo stati bambini è dedicato ai 281 bambini razziati dal quartiere ebraico romano, nessuno dei quali fece ritorno a casa.
Mimma
ps questo libro partecipa al venerdì del libro
Silvia Fanio says
Che storia bella e difficile.
Credo che sia un libro da leggere quando si è pronti a portare alla mente eventi così sconvolgenti. Lo inserisco nella mia lista dei desideri!